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Associazione in partecipazione: come si distingue dal lavoro subordinato?

L’associazione in partecipazione[1] è una particolare forma di contratto con cui un imprenditore (detto appunto associante) si accorda con uno o più soggetti (detti associati) che si impegnano a fornire la loro attività lavorativa all’interno dell’impresa, ricevendo come compenso la partecipazione agli utili dell’impresa.

Tuttavia, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, ad eccezione del caso in cui siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo o laddove l’associato sia un’impresa.

COME DISTINGUERE UN CONTRATTO DI ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE DAL LAVORO SUBORDINATO?

Per configurarsi un contratto di ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE e non di LAVORO SUBORDINATO, l’associato deve essere coinvolto direttamente nella gestione e nell’andamento dell’impresa, ovvero deve partecipare sia alla distribuzione degli utili che alle perdite, e in ogni caso l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno.

Il dipendente, invece, mette a disposizione la propria attività in favore del datore di lavoro per il perseguimento dei fini imprenditoriali, ma senza alcun coinvolgimento né collegamento (almeno formale) alla gestione dell’azienda.

IL CHIARIMENTO della GIURISPRUDENZA…

Un importante chiarimento è stato però fornito dalla sentenza della Suprema Corte del 4 Febbraio 2015 n. 2015 che riguardava una società commerciale titolare di oltre venti punti vendita dislocati in diverse aree del territorio nazionale, all’interno dei quali operavano dei lavoratori inquadrati con contratto di associazione in partecipazione.

Infatti, la Corte di Cassazione investita della questione, ha affermato:

“L’elemento che contraddistingue l’associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa dal contratto subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa non risiede nel nomen iuris utilizzato dalla parti, ma nel contesto in cui si svolge la prestazione da parte dell’associato. Pertanto, è opinione di questa Suprema Corte che laddove il lavoro dell’associato in partecipazione venga reso senza alcun rischio d’impresa e senza ingerenza nella gestione aziendale, il rapporto si configura in realtà come un contratto di natura subordinata. “

CONCLUDENDO…

 In conclusione, diverse sono state le pronunce sul tema della distinzione tra associazione in partecipazione e lavoro subordinato, ma la maggior parte di esse ha affermato che al fine di stabilire se lo svolgimento della prestazione lavorativa sia riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato o ad un contratto di associazione in partecipazione, è necessario innanzitutto che vi sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, mediante la consegna del rendiconto.

Inoltre, con il d.lgs. 276/2003 è stato previsto che: “La mancanza di effettiva partecipazione dell’associato agli utili o la mancata consegna del rendiconto, presume salvo prova contraria, l’esistenza di lavoro subordinato a tempo indeterminato e prevede che il lavoratore abbia diritto ai trattamenti retributivi, contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo”.

Dott.ssa Denise Amato                                                     Avv. Giuseppe Bellini

 

 

[1] art. 2549 c.c.: “Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro”.

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