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La riforma delle banche popolari

La riforma delle banche popolari [Legge 24 marzo 2015, n. 33 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3]

I termini della questione…

Come è noto, oggi sono presenti Banche popolari di ampia dimensione organizzate in complessi gruppi bancari, aperte al mercato, con basi proprietarie diversificate e operanti al di fuori delle aree di tradizionale insediamento.

In questo contesto, una struttura di governo efficace, adeguati assetti organizzativi e di controllo sono indispensabili per il presidio e l’attenuazione dei rischi.

La necessità di una revisione normativa è richiesta anche dalle esigenze di rafforzamento patrimoniale imposte dalla nuova regolamentazione a seguito della crisi finanziaria.

In questo senso, l’azione che la Banca d’Italia ha condotto per migliorare la governance di questi intermediari attraverso lo strumento delle modifiche statutarie da sola non basta, dati i vincoli legislativi.

In Italia sono autorizzate ad operare 37 banche popolari; 16 sono a capo di gruppi bancari; 7 popolari sono quotate in borsa, con una capitalizzazione di circa 12 miliardi (il 14% del totale del valore di borsa delle banche quotate).

In questi anni di congiunture economiche difficili, le Banche popolari, al pari delle Banche di credito cooperativo, hanno assicurato il loro sostegno all’economia: nel 2009, i prestiti concessi dall’insieme delle Banche popolari e di quelle appartenenti a gruppi con a capo una Banca popolare sono aumentati di poco meno del 2%. Più intensa è stata anche la ripresa dei prestiti nel 2010.

L’espansione dei crediti è stata più sostenuta per le Banche popolari non quotate, in virtù del loro radicamento sul territorio e dei rapporti di lunga durata con l’imprenditoria locale: la qualità del credito erogato dalle Banche popolari, tuttavia, ha comunque risentito della difficile fase congiunturale.

Nonostante il maggior sostegno al credito operato dalle Banche popolari, le condizioni dei tassi effettivi globali sulle principali categorie di finanziamenti risultano allineati a quelli osservati per le banche costituite sotto forma di S.p.A.: ciò ha consentito alle grandi e piccole popolari, come anche alla BCC, di riscontrare una raccolta di clientela in quota maggiore rispetto alla provvista complessiva delle banche S.p.A.

Il successo di tali banche nasce dal fatto che esse rivolgono la propria operatività prevalentemente al socio-cliente e al territorio di riferimento, dando rilievo alla persona prima ancora che al capitale, in modo tale da limitare le asimmetrie informative e migliorando la capacità di selezione del credito.

Queste condizioni si realizzano pienamente in caso di banche di piccole dimensioni che rivolgono la loro attività principale verso i soci-clienti: si affievoliscono, invece, per quelle di maggior dimensione.

Le “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche” hanno previsto degli adeguamenti per tutti gli intermediari, attraverso la modifica degli statuti, l’assunzione di specifiche delibere, l’adeguamento o l’adozione di regolamenti interni: la categoria ha recepito, così, l’azione di stimolo della Banca d’Italia.

Un adeguamento delle Banche popolari appariva (e appare) necessario anche in relazione alle innovazioni in corso nella regolamentazione e nell’azione di controllo prudenziale in risposta alle crisi, che stanno sostanzialmente cambiando il quadro di riferimento nel quale dovranno operare gli intermediari.

La riforma legislativa

La riforma della disciplina delle Banche popolari è da tempo all’attenzione del legislatore e anche la Banca d’Italia ne ha più volte indicato la necessità.

Essa, infatti, avrebbe l’obiettivo di assicurare corretti incentivi all’apporto di capitale nelle banche, maggior scrutinio sull’operato del management, adeguata flessibilità nelle soluzioni di governo societario.

Tra le linee di tale intervento c’è, al punto d), la trasformazione delle Banche popolari in S.p.a.: si tratta del c.d. “Investment compact” a cui il Consiglio dei Ministri ha dato via libera (il 20 gennaio u.s.) e che obbliga le prime 11 Banche popolari per attivi (sopra gli otto miliardi) a trasformarsi entro 18 mesi in S.p.A.

Per le altre popolari, la trasformazione è facoltativa.

E’ entrata nel decreto, inoltre, la possibilità per le Popolari che si trasformeranno in Spa di inserire nello Statuto un tetto dei diritti di voto dei soci in Assemblea, in funzione anti-scalata, purché non inferiore al 5% e per un periodo massimo di 24 mesi dalla data di conversione del decreto (visti i tempi che si prevedono per la trasformazione in Spa, i due anni di tetto potrebbero ridursi di fatto a pochi mesi).

Ci sarà un unico voto a maggioranza semplificata dell’Assemblea – l’ultimo con voto capitario – per la trasformazione in Spa, le relative modifiche statutarie e l’introduzione del tetto al diritto di voto.

Restano i paletti al diritto di recesso, viene solo escluso il caso “morte”.

La riforma è stata posta in essere tramite Decreto, in quanto ne è stata sollecitata l’urgenza dalle istituzioni nazionali e da quelle europee (tra loro la Banca d’Italia e la Commissione europea) e ciò tanto più poichè oggi si è passati al sistema di vigilanza unica, ossia una vigilanza operata dalla Commissione europea sulle banche destinatarie della riforma (n.b. per le altre rimane una vigilanza a livello nazionale).

Conclusioni

La riforma della disciplina delle Banche popolari apparentemente ha l’obiettivo di assicurare corretti incentivi all’apporto di capitale nelle banche, maggior scrutinio sull’operato del management, adeguata flessibilità nelle soluzioni di governo, al fine di armonizzare la loro disciplina con quella delle altre banche quotate.

Tuttavia molti osservatori (detrattori della riforma) temono che non si tratti altro che di un tentativo (ben riuscito) di “neutralizzare” dei pericolosi concorrenti, per volontà dei big del settore.

Sarà il tempo a dire se la teoria del complotto, così di moda nell’attualità politico-economica odierna, sia fondata o meno: gli effetti delle modifiche si potranno apprezzare solo osservando le condizioni che saranno praticate dagli istituti oggetto di questo (pesante) intervento riformatore.

Ci permettiamo di dubitare che potranno essere migliorative o in linea con quanto fatto in passato.

Avv. Giuseppe Bellini                Dott. Giacomo Larcinese

 

Fonti

COMMISSIONE VI FINANZE E TESORO DEL SENATO, audizione del Vice direttore Generale della Banca d’Italia Anna Maria Tarantola “La riforma delle Banche popolari”, Senato della Repubblica, 22 giugno 2011;

Ferrando e C. Fotina, “CDM, 11 grandi banche popolari diventeranno Spa in 18 mesi. Portalità veloce per i conti correnti”, su www.ilsole24ore.com;

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