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Responsabilità professionale del personale sanitario

Responsabilità professionale del personale sanitario: il punto della situazione

 L’ANIA, l’Associazione Nazionale tra le Imprese Assicuratrici, il 13 novembre 2013, durante la XII Commissione sugli Affari sociali, ha operato un’attenta analisi sulla responsabilità professionale del personale sanitario e presenta le proprie proposte, per migliorare gli aspetti negativi individuabili in questa materia.

Cosa s’intende per medical malpractice?

 L’oggetto dell’audizione è stata la medical malpractice (la pratica medica illecita) e i suoi risvolti di natura assicurativa, unitamente ad alcune operazioni di policy (politica) riconosciute anche a livello internazionale che hanno l’obiettivo di mitigare il fenomeno e le sue indesiderate conseguenze.

Le denunce per tale condotta si riscontrano non solo in Italia, ma in molti Paesi sviluppati e in tempi recentissimi.

Le cause del fenomeno sono individuabili nella maggior consapevolezza e nella più alta attenzione dei pazienti alle cure ricevute (a volte anche grazie al sostegno di servizi di gestione del contenzioso), nonché in un deciso aumento degli importi dei risarcimenti riconosciuti dai Tribunali (non tanto per la componente del danno patrimoniale, suddiviso in perdita subita, il c.d. “danno emergente” e in mancato guadagno, il c.d. “lucro cessante”, quanto piuttosto per il “danno biologico” o “danno alla salute” e per l’importo riconosciuto a titolo di “danno morale”).

In che tipo di responsabilità incorre l’operatore sanitario

Un ruolo fondamentale nell’individuazione dei motivi che portano alla medical malpractice è svolto anche dalla giurisprudenza la quale ha, nel tempo, ampliato l’alveo dei diritti e dei casi meritevoli di risarcimento. Essa, infatti, ha sostanzialmente trasformato i contenuti della prestazione medica da obbligazione di mezzi (nella quale ciò cui si deve adempiere è la ricerca di tutti gli strumenti idonei al raggiungimento del fine stabilito, anche, se questo, poi non si ottiene) ad obbligazione di risultato (in cui il dovere a cui si deve ottemperare è il raggiungimento del risultato previsto).

Va, inoltre, evidenziato che la responsabilità (civile) che può essere posta a carico del medico che ponga in essere un’attività sanitaria illecita è stata ampliata: è stata operata una netta distinzione tra interventi e prestazioni di routine e quelli che tali non sono, con la conseguenza che, in caso di intervento medico “di ordinaria amministrazione” (o di agevole esecuzione) con esito negativo, la colpa del medico sussista per il solo fatto che si sia verificato tale risultato.

Graverà, quindi, sul medico l’onere di provare che l’esito negativo sia dovuto a fattori estranei ed imprevedibili o eccezionali.

In tale tipologia di interventi, infatti, l’obbligazione del medico è di risultato, con la conseguente limitazione di applicabilità dell’art. 2236 c.c., in base a cui, se la prestazione dovuta implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, qualora non in caso di dolo o colpa grave.

Le conseguenze patite dal sistema sanitario nazionale

 I principali problemi riscontrati dal sistema sanitario a seguito della condotta illecita di un operatore sanitario sono di carattere economico, in termini di risarcimenti dovuti ai pazienti (con relativo aggravio del costo delle eventuali coperture assicurative di cui i medici o chiunque altro operi in ambito sanitario si siano avvalsi) e di  spese indirette, per il ricorso a alla c.d. medicina difensiva (il cui ammontare è stato statisticamente quantificato nel 10% della spesa sanitaria complessiva, per un ammontare di circa 13 miliardi).

Il sistema assicurativo ne risente?

 In ambito assicurativo, a causa dell’aumento dei casi in cui sia ravvisabile una condotta non corretta da parte dell’operatore sanitario, si sono riscontrate gravose perdite, dovute ad una errata tariffazione delle coperture, essendoci stata una comprensibile mancata previsione, all’epoca della sottoscrizione dei contratti, delle tendenze citate. Ciò ha comportato una sottostima dei reali costi del rischio sottoscritto.

Ne sono conseguiti un notevole aumento dei prezzi delle polizze, condizioni contrattuali più stringenti e assuntive, con inevitabile rarefazione dell’offerta e maggiori complicazioni nel rapporto con gli assicurati.

Il fenomeno della rarefazione della copertura assicurativa deve, preliminarmente, essere contestualizzato, per perché se ne comprenda poi la portata negativa.

Le polizze, in tale ambito, possono essere rivolte a due categorie differenti: i singoli esercenti le professioni sanitarie, da un lato, e le strutture sanitarie, dall’altro.

In presenza di tale divisione, la rarefazione della copertura assicurativa diventa assai incisiva, soprattutto nel secondo caso (come ha sottolineato la Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, nella passata legislatura).

Per quel che, invece, concerne la tutela dei singoli medici, è importante sottolineare che non risulta vi siano generalizzate difficoltà a trovare copertura sul mercato, né per i medici stessi o per i dipendenti chiamati a rispondere per colpa grave, in caso di rivalsa da parte della struttura sanitaria, né per i medici professionisti (che, ove esercitino specializzazioni rischiose, avranno una copertura a costi elevati, in quanto proporzionali al rischio).

Le possibili soluzioni secondo l’ANIA

L’ANIA ritiene che sia fondamentale risolvere il problema della medical malpractice a livello giuridico, affinché si riesca a contenere il livello dei costi, rendendoli anche maggiormente prevedibili (in modo tale da ampliare la disponibilità di copertura assicurativa).

Perché ciò sia possibile, le alternative possibili possono essere rinvenute, volgendo lo sguardo alle esperienze internazionali:

1) si potrebbe, come accade nei Paesi scandinavi, passare a un sistema c.d. di no fault, in cui per certe casistiche di eventi sia previsto un risarcimento o un indennizzo standardizzato, senza che sia ricercata e attribuita la responsabilità; a livello economico, il passaggio a tale sistema risulterebbe altamente conveniente, qualora ci si renda conto che la somma dei costi del contenzioso e di quelli indiretti, indotti dalla medicina difensiva, risulta sproporzionata rispetto alle risorse effettivamente riconosciute ai danneggiati, per il risarcimento.

Con tale operazione, si ha il vantaggio di ridurre i costi diversi dai risarcimenti citati e di rasserenare gli operatori sanitari, ma, al contempo, anche lo svantaggio di un allargamento dei casi indennizzabili, nonché di una teorica deresponsabilizzazione degli operatori.

2) Un’alternativa al modello precedente rimane, comunque, quella di utilizzare un sistema ancora basato sulla responsabilità magari introducendo protocolli che rendano esenti da responsabilità gli operatori, se essi sono in grado di dimostrare di averli correttamente rispettati  oppure perimetrando in maniera maggiormente precisa il concetto di responsabilità stessa; in alternativa, si potrebbe operare una standardizzazione dei criteri in base ai quali viene concesso il risarcimento dei danni, utilizzando tabelle valutative del danno e limiti eventuali ai danni non patrimoniali.

 Nessuna delle proposte avanzate con i diversi Disegni di Legge, a detta dell’ANIA, risulta essere ottimale.

Se si analizzano i DDL 1324 e 1581, si ravvisa, infatti, che prevedere il prerequisito della stipula di un’assicurazione a copertura della responsabilità civile delle strutture sanitarie (pubbliche o private che siano) che causino danni ai danni, nell’ambito dell’erogazione dei servizi sanitari, nonché la stipula di una polizza in favore dei prestatori d’opera che in dette strutture lavorano, non rappresenta la soluzione definitiva.

Da un lato, questa previsione può sembrare efficace, se si tiene a mente che i soggetti che si vogliono assicurare possono, dato il rischio elevato che comporta per sua natura l’attività professionale svolta, arrecare danni ingenti a terzi e non riuscire a risarcire questi ultimi, a causa della limitatezza del loro patrimonio. Ciononostante, va anche evidenziato che vi sono diversi soggetti con un bilancio pubblico o con importanti attivi strumentali che difficilmente si potrebbero ritenere non in grado di risarcire i danni cagionati.

In particolare, poi, il DDL 1581 prevede l’obbligo a contrarre a carico di tutte le imprese di assicurazione, operanti nel territorio nazionale secondo requisiti o massimali e premi minimi e massimi, stabiliti con decreto emanato dal Ministero della Salute. Tale obbligo non gioverebbe ad allentare la tensione attualmente esistente sul tema della medical malpractice, ma avrebbe l’effetto di restringere l’offerta, con conseguenti minor disponibilità di copertura assicurativa, riduzione della concorrenza e ovvio aumento dei prezzi.

Gli operatori del settore diminuirebbero sensibilmente.

Tutti i DDL presi in esame dall’ANIA, in linea di massima, sanciscono che la responsabilità civile o gli effetti patrimoniali di questa per i danni alla persona, occorsi in strutture sanitarie e causate dal personale medico e non medico sono a carico della struttura. Nel DDL 262 è previsto che le strutture, solo in caso di dolo accertato, potranno avviare un’azione disciplinare e trattenere dallo stipendio del dipendente responsabile le somme equivalenti all’aumento del costo della polizza da essi causato.

In generale, comunque, è consentito alla struttura di esperire azione di rivalsa verso i responsabili, per dolo o colpa grave indotta da assunzione di stupefacenti, qualora ciò sia riconosciuto con sentenza passata in giudicato.

Secondo i DDL, il danneggiato ha la titolarità dell’azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore e, in taluni casi, a carico di questi ultimi sono fissati termini tassativi, per formalizzare e quantificare l’offerta di risarcimento.

Concludendo…

L’ANIA, sulla base dell’esperienza vissuta dalle compagnie assicurative, evidenzia come,oggi, siano da rivedere, a livello giuridico, i confini della tutela richiesta in campo sanitario non solo da coloro che in esso operano, quali liberi professionisti, ma anche da chi vi agisce come mero dipendente di una struttura o, persino, da una clinica stessa.

La revisione della fattispecie nasce come necessità, dal momento che, sempre più spesso, ci si trova di fronte a casi di medical malpractice, ossia di attività medica (o più genericamente sanitaria) svolta violando le regole previste per l’esercizio della medesima.

Ciò rappresenta un grave danno economico per le assicurazioni, dal momento che l’elevato numero di sinistri che vengono denunciati (anche grazie alla sempre maggior attenzione dei pazienti alle cure ricevute) ha come effetto l’aumento dei costi delle polizze di protezione contro eventuali azioni di responsabilità.

Ne consegue che sarà sempre più difficile concludere contratti in materia, volendo mantenere pacifici i rapporti con gli assicurati.