Ricorso abusivo al credito da parte di società già soggette a concordato preventivo: la fattispecie
La Banca d’Italia, nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria 2012, denuncia il peggioramento della condizione delle imprese italiane che risente della fase ciclica negativa: si scopre, così, che la principale minaccia alla stabilità finanziaria del nostro Paese non derivi più dallo squilibrio dei conti pubblici, ma dalla contrazione dell’attività economica.
Il flusso di nuove sofferenze sui crediti è aumentato, mentre frena l’offerta di credito che viene penalizzata dalla rischiosità dei debitori; inoltre, le condizioni di liquidità delle imprese italiane sono peggiorate, con aumento delle difficoltà nel rimborso dei prestiti bancari.
Il discorso cambia, se il credito è stato concesso a chi non lo meritava e che allo stato attuale non è in grado di restituirlo o peggio se è stato richiesto da tali soggetti alle banche, tramite frodi volte a dissimulare la propria condizione patrimoniale di dissesto (persone fisiche che hanno alterato le proprie dichiarazioni dei redditi ovvero società che hanno fornito dati falsi circa i propri bilanci).
La concessione abusiva del credito, infatti, può configurarsi quando siano gli istituti bancari a suscitare un incolpevole affidamento dei terzi verso l’imprenditore già in dissesto, mediante il loro comportamento.
Il problema, comunque, può essere analizzato anche dal lato delle Banche che non sono proprio esenti da colpe: nel concedere il credito ai soggetti predetti hanno senza ombra di dubbio utilizzato poca diligenza.
La normativa
La fattispecie appena descritta, definita come ricorso abusivo al credito, viene punita dal diritto penale dell’economia, attraverso la disciplina dell’art. 218 della Legge Fallimentare (la n. 267 del 16 marzo 1942). In esso si afferma che è punibile l’imprenditore esercente un’attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere al credito, dissimulando il proprio dissesto.
La sanzione prevista è la reclusione fino a due anni con inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale, incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni dalla condanna. La pena sarà aumentata in caso di reiterazione. Qualora, invece, i fatti integrino di volta in volta fattispecie diverse tra quelle descritte agli artt. 216,217 e 218 l.f., si ha concorso di reati con cumulo delle pene. Il legislatore ha così voluto tutelare i contraenti eventuali di un’impresa in crisi.
Parte della dottrina ritiene che presupposto per l’applicazione della norma sia il fallimento della società; la lettera della norma, tuttavia, si limita a prevedere che vi sia dissesto: ciò rappresenta l’elemento distintivo tra questa fattispecie e la bancarotta semplice, in quanto la condotta consiste nella dissimulazione del dissesto ed è accompagnata, secondo la giurisprudenza, da semplice reticenza (qualora sia accompagnata da artifici e raggiri, al contrario, si configurerà la fattispecie di truffa).
Perché sanzionare il ricorso abusivo al credito?
Il ricorso abusivo al credito è da sanzionare, in quanto mette a repentaglio i creditori antecedenti alla richiesta della società in dissesto di nuovo credito alla banca.
Tali soggetti rischiano di non essere soddisfatti nel loro diritto o di esserlo in quantità minore di quanto loro spetterebbe.
La divisione del residuo attivo societario tra più aventi causa e il nuovo credito abusivo concesso dalla banca, infatti, “droga” l’attività economica del debitore che potrà così indebitarsi ulteriormente con nuovi soggetti.
La società già in dissesto, quindi, aumenterebbe il numero dei suoi creditori, mentre questi ultimi diminuirebbero la quota di credito pro capite che spetterebbe loro.
Si tratta di una fattispecie controversa il cui trattamento sanzionatorio nel tempo, grazie al D.Lgs. 262/2005 art. 32, è stato in parte inasprito (elevandone il limite minimo e massimo) e in parte è stato esteso nel suo ambito applicativo (in quanto la condotta prevista dall’art. 218 l.f. può essere sanzionata anche nel caso in cui il soggetto agente operi al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti). Il reato in analisi, quindi, si perfezionerebbe anche senza il fallimento della società debitrice.
Il rischio che ne deriva è il mancato coordinamento con altre norme della Legge fallimentare lasciate immutate.
Ne consegue che, nei casi in cui il creditore continui a far credito (ad esempio proseguendo nella sua attività d’impresa esclusivamente grazie all’utilizzo di linee bancarie di credito commerciale), il giudice possa effettuare l’audizione del creditore, al fine di avere un riscontro sulla qualità del portafoglio anticipato e, dunque, circa la stabilità dei clienti dell’impresa.
Conclusioni
Il ricorso abusivo al credito è una fattispecie di reato in cui il soggetto attivo è la società che, pur trovandosi in condizione di dissesto finanziario, continua a chiedere finanziamenti alla banca.
Di contro, anche quest’ultima, pur non essendo qualificabile come complice della società, gioca un ruolo attivo nella realizzazione del reato: essa concede il prestito con troppa facilità, utilizzando un grado insufficiente di diligenza.
Per tali ragioni, il legislatore si è attivato, al fine di tutelare i contraenti della società, ignari della situazione di crisi in cui versa l’impresa stessa.
***
Fonti
Rapporto sulla stabilità finanziaria 2012 della Banca d’Italia, su www.bancaditalia.it;
Articolo 218 della Legge fallimentare;
F. D’angelo, “Il nuovo volto del concordato preventivo con riserva”, articolo su www.iusexplorer.it.