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Diffamazione online e diritto all’oblio

diffammazione

La diffamazione online

Tra i reati commessi sulla rete spicca, assieme alle violazioni dei diritti alla privacy e d’autore, la diffamazione.

La diffamazione online, infatti, viene equiparata al reato di diffamazione, così come enucleato dall’art. 595 del codice penale: chiunque, fuori dai casi in cui sia ravvisabile calunnia o ingiuria, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione (anche a mezzo stampa, pubblicità o atto pubblico) è punibile ai sensi della legge penale, pena aumentata, allorché l’offesa corrisponda all’attribuzione di un fatto determinato o riguardi un’autorità pubblica.

Ciò dimostra come, se è vero che ognuno di noi (ai sensi dell’art. 21 Cost.) ha il diritto di esprimere la propria opinione, a questa facoltà sono posti dei limiti, qualora esercitandola si leda l’altrui opinione e reputazione.

La diffamazione online si può configurare in due modi: a mezzo stampa telematica o attraverso il semplice utilizzo di Internet.

In merito alla prima ipotesi, vasta è la giurisprudenza che da anni si è occupata e si occupa della stampa cartacea o radiotelevisiva.

Per quel che invece concerne la seconda fattispecie, va sottolineato che il codice penale contempla l’ipotesi della diffamazione online, laddove sia configurabile la diffamazione attraverso la pubblicità: secondo la percezione normativa consolidatasi nel tempo, Internet costituisce proprio un mezzo di pubblicità, in quanto idoneo a dare notizie a una pluralità di soggetti.

È sufficiente pensare a un’opinione diffamatoria espressa su di un forum, mailing list o posta elettronica: in quest’ultimo caso, secondo l’orientamento della Cassazione, il reato è integrabile anche quando il messaggio diffamatorio non sia percepito simultaneamente dalla pluralità di destinatari. In più, la stessa Corte ha ravvisato l’applicabilità della legge italiana, anche qualora il reato provenga da un sito ubicato all’estero (Cassazione n. 4741 del 2000).

Il diritto all’oblio

Molto spesso, il diritto all’oblio viene confuso con il reato di diffamazione.

In realtà, ragionando in merito all’esistenza o meno dell’attualità di una notizia, nonché della presenza o assenza di interesse pubblico alla diffusione di quest’ultima, l’orientamento prevalente nel nostro ordinamento (e anche in giurisprudenza, basti citare in merito la sentenza n. 16111/2013 della Cassazione, Sez. III Civile) è quello secondo il quale per sussistere diritto di cronaca debba esserci un interesse effettivo ed attuale alla diffusione della notizia: solo in tal caso, a seguito dell’esigenza di bilanciamento in concreto degli interessi tra i soggetti coinvolti, vi è per il soggetto interessato dal contenuto dell’articolo il diritto ad opporsi al trattamento, quand’anche lecito, dei propri dati.

Ciò rappresenta non solo il presupposto per la pubblicazione di una notizia, ma anche per la possibilità del diretto interessato a far valere il proprio diritto all’oblio (anche quando i fatti sono resi noti in rete), ossia il diritto volto ad evitare che la permanenza indefinita su Internet di dati e informazioni risalenti nel tempo (e soprattutto incompleti o non aggiornati, poiché privi dei successivi resoconti giornalistici circa le evoluzioni della notizia originariamente riportata), determini una lesione proprio di quei diritti che il Codice della Privacy complessivamente protegge (art. 2 Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196).

Ciò, può ad esempio verificarsi con la riproposizione di vecchi articoli contenenti dati personali messi a disposizione online.

Il diritto all’oblio è stato oggetto di plurimi interventi del Garante della Privacy e di diverse decisioni in sede giurisdizionale.

Sul punto degna di nota è la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE, la C-131/2012, che ha riconosciuto il diritto ad essere “deindicizzati” dal motore di ricerca Google, imponendo a Google di provvedere alle richieste degli utenti. Le Autorità UE Garanti della Privacy hanno deciso di elaborare criteri comuni, per gestire i ricorsi e i reclami presentati da utenti che si sono visti presentare un rifiuto.

Si è così compiuto un primo passo verso l’armonizzazione dei criteri procedurali e sostanziali, per gestire i casi in cui il motore di ricerca respinge una richiesta di deindicizzazione.

Fonti

V. Frediani, “La diffamazione online”, articolo datato 16 maggio 2002, su www.altalex.com;

Suprema Corte di Cassazione, Sez. III Civile, n. 16111/2013;

A. Del Nino, “il <diritto all’oblio> su internet in Italia: prescrizioni del Garante per la privacy”, articolo del 20 maggio 2014, su www.dirittoegiustizia.it;

Garante della Privacy, newsletter n. 393 del 30 settembre 2014, su www.altalex.com.