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TFR in busta paga: meglio incassarlo o lasciarlo in azienda?

TFR: meglio tenerlo in busta paga o lasciarlo in azienda?

Le novità

Tra gli interventi più pubblicizzati nel disegno di legge di stabilità 2015 c’è la monetizzazione, in via sperimentale, delle quote di Tfr maturate nel periodo marzo 2015 – giugno 2018.

La legge richiede una scelta volontaria del lavoratore che, una volta esercitata, non consentirà di fare marcia indietro per tutto il periodo.

Aumenteranno gli adempimenti per i datori di lavoro e i consulenti che dovranno farsi carico della gestione delle scelte, pur non esistendo obbligo di informativa.

Inoltre, i datori di lavoro che occupano sino a quarantanove dipendenti e che non vorranno erogare l’anticipazione, dovranno gestire una serie di pratiche con il sistema bancario, al fine di ottenere un’anticipazione (ciò comporta l’obbligo di procurarsi una certificazione del Tfr rilasciata dall’Inps).

La monetizzazione riguarda anche i dipendenti che attualmente destinano, o che potrebbero farlo, il Tfr a previdenza complementare: tale scelta impatta negativamente sulla costruzione della c.d. “seconda pensione” che sembrava essere (al varo del D.Lgs. 252/05) un’esigenza primaria, dopo essersi resi conto dell’abbassamento generale dei livelli delle rendite pensionistiche.

Ora cambia tutto: se in passato la scelta dei fondi complementari era irrevocabile e l’eventuale silenzio corrispondeva ad assenso, oggi il versamento a tali fondi può essere interrotto (fino a 40 mesi).

La monetizzazione del Tfr verrà tassata con le modalità ordinarie e non con la tassazione separata (in genere più conveniente). Il lavoratore, infatti, probabilmente spinto dalla necessità di aumentare il netto in busta paga, sarà indotto a chiedere l’integrazione che, tuttavia, gli costerà maggior esborso Irpef. Inoltre, l’integrazione confluisce nell’imponibile fiscale ordinario da cui potrebbe derivare una possibile riduzione delle detrazioni Irpef per lavoro dipendente e per carichi familiari.

Sulla retribuzione integrativa di chi opta per avere la liquidazione nel mensile, infatti, scatterà la tassazione Irpef: l’aliquota media attualmente applicata al Tfr è compresa tra il 23% e il 26%, mentre l’Irpef sull’imponibile che supera i 15mila euro parte dal 27% e cresce con gli scaglioni di reddito sulla nota curva delle aliquote fino al 43%. Più elevato è il reddito da lavoro, meno è incentivata fiscalmente l’opzione del Tfr in busta.

A controbilanciare questo aggravio ne arriva un altro di segno opposto: l’imposta sostitutiva sui redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il Tfr (sul maturato) passerà dall’11% al 17%.

A chiudere il quadro fiscale vi è una clausola di salvaguardia che esclude il reddito aggiuntivo dal computo del tetto complessivo che garantisce il bonus Irpef da 80 euro, in vigore dal maggio scorso. Insomma, chi opterà per il Tfr in busta non perderà quel bonus.

 

Conclusioni

Usufruire delle novità introdotte dal Disegno di Legge di stabilità 2015 conviene solo a chi ha un reddito compreso tra i 15mila e i 20mila euro l’anno. In tutti gli altri casi, arriva qualche soldo in più in busta paga, ma ci si perde nel lungo periodo. Per non parlare poi del fatto che i benefici del provvedimento dell’anticipo del Tfr in busta paga si fermano qui.

Secondo un giudizio al contempo tecnico e politico, i vantaggi sembrano più per lo Stato che per i lavoratori (a causa dell’aumento della tassazione relativa). Dal punto di vista della politica economica, in particolare, si riscontrano seri dubbi sul fatto che tale riforma possa portare alla ripresa dei consumi.

Quel che è certo è che tale manovra sia un aiuto a chi è in difficoltà con debiti arretrati o con la rata del mutuo. Anche se i benefici dureranno per poco.

 

Fonti

D. Colombo, “Perché il Tfr in busta paga conviene solo ai redditi fino a 15mila euro”, articolo del 18 ottobre 2014, su www.ilsole24ore.com;

A. Cannioto e G. Maccarone, “Nuovi oneri con il Tfr in busta paga”, articolo del 18 ottobre 2014, su www.ilsole24ore.com;

L. Pagni, “Tfr in busta paga, ecco a chi conviene: solo per i redditi sotto i 20mila euro”, articolo del 19 ottobre 2014, su www.repubblica.it.