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Conto corrente cointestato: di chi sono i soldi?

Conto corrente Cointestato: avere un conto cointestato con la propria moglie / il proprio marito è una prassi che resiste.

Nel matrimonio (o anche di una convivenza di lungo periodo) la gestione del denaro è sempre una questione abbastanza spinosa.

In effetti, una delle domande più gettonate da parte degli Imprenditori che si trovano in situazioni di difficoltà riguarda la pignorabilità del conto e delle somme, nel caso il conto sia cointestato con la moglie / marito.

E la risposta è sempre stata, certo che è pignorabile, ma si “presume” che le somme siano tue solo al 50%.

Recentemente, invece, è intervenuta la Cassazione[1] a dirci che non è proprio così.

Il caso concreto

E’ sorta una lite che ha visto coinvolti diversi eredi di una Signora che era stata intestataria di un conto corrente e di un deposito-titoli dal controvalore di 130k.

Per ragioni pratiche, la Signora aveva cointestato il suddetto conto e l’operatività ad alcuni degli eredi, a) non essendo sostanzialmente al corrente della movimentazione ed b) essendo l’unico soggetto ad aver alimentato questo conto con i propri risparmi.

La lite è sorta nel momento in cui gli altri eredi sono venuti a conoscenza che parte di tali somme erano state prelevate dai cointestatari, sul presupposto che fossero state cointestate con il fine di donarle.

Cosa ci dice la Cassazione?

Innanzitutto che “la cointestazione è di per sé una mera dichiarazione rivolta alla banca”.

Sviluppando principi già affrontati in precedenza[2], infatti, la Suprema Corte ha ricordato che la cointestazione di un conto corrente, salvo prova di diversa volontà delle parti, “è di per sé un atto unilaterale idoneo a trasferire la legittimazione ad operare sul conto, ma non anche la titolarità del credito, in quanto il trasferimento della proprietà del contenuto di un conto corrente è una forma di cessione di credito, e quindi presuppone un contratto tra cedente e cessionario”.

E come si prova la diversa volontà delle parti?

Si può desumere ad esempio dall’esistenza di un contratto in cui la cointestazione fosse atto esecutivo ovvero del fatto che la cointestazione costituisca una proposta contrattuale, accettata per “comportamento concludente”.

E quindi cosa significa “cointestare” il conto?

Di fatto è come se fosse stata concessa una procura o una delega.

Bisogna sapere che:

  • quando depositiamo i soldi in banca ne perdiamo la proprietà, assumendo un diritto di credito nei confronti della Banca stessa;
  • la cointestazione è semplicemente un accordo in cui due soggetti hanno la disponibilità di somme giacenti sul conto, ma non attribuisce alcuna proprietà dell’uno/a nei confronti dell’altro/a.

Ok, ma quali sono le conseguenze pratiche di questa pronuncia?

Per la verità, non molto nell’attuale scenario delle Famiglie (imprenditoriali e non).

A mio avviso il conto cointestato è già uno strumento residuale, utilizzato esclusivamente per piccole spese quotidiane ed è pressochè privo di giacenze.

Soprattutto qualora uno od entrambi i coniugi abbiano prestato garanzie personali, infatti, è abbastanza normale che ciascuno abbia il proprio conto in modo che non vengano intaccate le disponibilità dell’altro (seppur temporaneamente).

Peraltro, di questi tempi, con il fiorire di conti gratuiti online (o quasi), la circostanza non pare nemmeno di difficile attuazione.

Una maggiore protezione patrimoniale (oltre che riservatezza) si potrebbe avere attraverso la creazione di un conto estero, ma questo è un argomento che merita un approfondimento a parte.

Avv. Giuseppe Bellini

 

 

[1] Cass. Civ., sez. III, 3/09/2019 n. 21963

[2] Cass. Civ., sez. II, 30/5/2013 n. 13614)

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