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Il risarcimento del danno all’ambiente dopo la legge n. 97/2013

risarcimento

Le principali difficoltà per la determinazione del risarcimento del danno ambientale

Nell’ambito del risarcimento del danno all’ambiente, la prima difficoltà che s’incontra è certamente quella di individuare la disciplina legislativa applicabile: la presenza di numerosi interventi legislativi, susseguitisi con il ritmo di quasi uno all’anno, ha determinato seri problemi di coordinamento e di individuazione di quale fosse la normativa di volta in volta applicabile. Questa difficoltà sembrava risolta dal D.L.gs. 3 aprile del 2006, n. 152 (c.d. Codice dell’Ambiente) che ha recepito, in Italia, la direttiva europea 2004/35/Ce e ha regolato la materia, già disciplinata da varie leggi anteriori.

Il decreto in questione ha, tuttavia, dato adito ad un problema diverso, relativo a come la direttiva n. 2004/35/Ce fosse stata recepita nel nostro ordinamento.

Il principale dubbio era di stabilire se il Decreto Legislativo prevedesse un risarcimento del danno ambientale per equivalente pecuniario o se, diversamente, stabilisse in via esclusiva un risarcimento riparatorio dell’ambiente danneggiato (come inequivocabilmente stabilito dalla direttiva n. 2004/35/Ce).

Al fine di superare l’incertezza, la Commissione europea ha notificato al Governo italiano due contestazioni, nel 2008 e nel 2012, chiedendo che venisse chiarito che il danno all’ambiente, così come previsto dalla direttiva, sia da risarcire esclusivamente mediante misure di riparazione (primaria, complementare o compensativa), con esclusione di qualsiasi risarcimento del danno ambientale per equivalente pecuniario.

Il Governo italiano, per adeguarsi alla richiesta della Commissione europea, ha emanato due leggi, nel 2009 e nel 2013, che hanno modificato l’originario testo del D.Lgs. n. 152/2006, stabilendo che il danno ambientale debba essere risarcito esclusivamente mediante misure riparative e che tale disciplina si applichi anche ai procedimenti in corso, quindi, anche alle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore della legge (salvo il caso di pronunce già passate in giudicato).

 

La seconda difficoltà è quella che normalmente si presenta di fronte a una nuova disciplina legislativa fortemente innovativa, la quale utilizzi una terminologia e criteri sconosciuti alla precedente legislazione e privi di referenti giurisprudenziali e dottrinali che ne aiutino l’interpretazione e l’applicazione.

Nel caso in esame, la questione si pone soprattutto a fronte di danni ambientali non riparabili o riparabili in tempi o a costi non ragionevoli.

In tali casi, secondo la direttiva n. 2004/35/Ce e in base al D.Lgs. n. 152/2006, occorre considerare una riparazione complementare e/o compensativa dell’ambiente, il cui contenuto e i cui criteri di determinazione costituiscono una novità per il nostro ordinamento.

Per la risoluzione del problema, occorre un’analisi scrupolosa del Decreto Legislativo e del suo Allegato n.3, normativa identica a quella disposta dalla direttiva n. 2004/35/Ce e dal suo allegato II e che, pertanto, può avvalersi degli studi e delle interpretazioni, effettuati a livello comunitario.

Ognuno, inoltre, risponde del danno ambientale, nei limiti della propria responsabilità personale.

In caso di inquinamenti storicamente risalenti, o di co-autori, di un determinato danno ambientale, occorre un suddivisione del danno ambientale, attribuendo a ciascuno la propria responsabilità, con esclusione di ogni responsabilità solidale, per danni cagionati da altri.

 

Il danno deve essere risarcito mediante riparazione e non per equivalente pecuniario

A fronte di una normativa ambientale via via sopravvenuta e di difficile coordinamento, nel 2004 è intervenuta la direttiva 2004/35/Ce che ha radicalmente cambiato i criteri e la filosofia del risarcimento del danno ambientale.

Nel nostro ordinamento, si è passati attraverso un recepimento di tale direttiva in tre fasi.

 

Prima fase.

Nel 2006, l’Italia ha recepito la direttiva con il D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), testo unico che regola l’intera materia ambientale e abroga, pertanto, le numerose leggi precedenti; in particolare, con riferimento al risarcimento del danno all’ambiente, all’art. 311 (nella versione originaria del 2006) stabiliva la priorità del ripristino (ossia del risarcimento in forma specifica), rispetto al risarcimento per equivalente pecuniario (dovuto solo in mancanza del ripristino).

 

Seconda fase*

Nel 2008 la Commissione europea ha aperto una procedura per infrazione, contestando all’Italia che, mentre la direttiva n. 2004/35/Ce prevede un risarcimento per il danno ambientale esclusivamente attraverso misure riparative, varie disposizioni del D.L.gs. n. 152/2006 consentono che tali misure possano essere sostituite da risarcimenti per equivalente pecuniario (artt. 311, 312 e 313).

Nel 2009 il legislatore italiano, al fine di superare la procedura di infrazione, ha emanato l’art. 5 bis, l. 20 novembre 2009, n. 166, il quale introduce due importanti modifiche al D.Lgs. n. 152/2006:

 

  1. modifica l’art. 311, comma 2 (prima parte), stabilendo che il danno all’ambiente debba essere risarcito in prima battuta con l’effettivo ripristino della situazione originaria (c.d. riparazione primaria) o, in mancanza, con misure di riparazione “complementare” e “compensativa”, sulla base della direttiva n. 2004/35/Ce;

 

  1. rinnova anche l’art. 311, comma 2 (seconda parte), affermando che si possa ricorrere al risarcimento per equivalente patrimoniale, solo per misure di riparazione omesse (totalmente o in parte), impossibili, eccessivamente onerose oppure attuate in maniera incompleta o difforme rispetto a quelle  prescritte;

 

  1. rettifica l’art. 303, comma 1, lettera f), dello stesso Decreto, aggiungendovi una disposizione in cui i criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria, di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 311, si indicano come da applicarsi anche ai giudizi già proposti, salvo il caso di pronunce già passate in giudicato:  i nuovi criteri di risarcimento vanno a travolgere l’art. 18 della legge n. 349/1986 (introduttiva del concetto di danno ambientale) e i medesimi sono applicabili anche ai casi verificatisi prima dell’entrata in vigore della direttiva e del suo Decreto di recepimento.

 

Terza fase

Nel 2012, la Commissione europea ha nuovamente contestato al nostro Paese di aver adottato e mantenuto in vigore norme che consentano che le misure di riparazione possano essere sostituite da risarcimenti pecuniari, in violazione dell’Allegato II della direttiva 2004/35/Ce. Secondo un parere della Commissione, datato 26 gennaio 2012, infatti, ai sensi della direttiva non si possono sostituire le misure di riparazione con risarcimenti pecuniari (come conferma lo stesso testo dell’Allegato, sottolineando che, laddove non sia possibile esperire una riparazione primaria, occorrerà porre in essere misure di riparazione complementare e compensativa).

 

Le ulteriori modifiche apportate dalla legge n. 97/2013

Nel 2013, il legislatore italiano, per superare la seconda contestazione della Commissione europea, ha emanato l’art. 25 della legge 6 agosto 2013, n. 97.

 

Sinteticamente, la nuova disciplina del D.Lgs. n. 152/2006, ad oggi, è la seguente.

L’articolo 311, comma 3 (prima parte): questa disposizione modificata legge n. 97/2013 afferma che il Ministero dell’Ambiente provvede alla determinazione delle misure di riparazione da adottare (n.b.: si tratta di un rinvio a misure di riparazione e non a risarcimento per equivalente pecuniario, stabilendosi solo misure di riparazione primaria, complementare e compensativa).

Per quel che concerne la portata della riparazione complementare e compensativa, secondo tale norma, i criteri dovranno essere individuati da un futuro D.M. del Ministero dell’ambiente, da adottarsi entro 60 gg. dall’entrata in vigore di questa disposizione (previsione che, tuttavia, non è ancora stata attuata).

 

L’articolo 311, comma 3 (seconda parte): secondo tale disposizione, i criteri e la portata delle misure riparative trovano applicazione anche ai giudizi pendenti, non ancora definiti con sentenza passata in giudicato.

 

Conclusioni

Il nuovo art. 311 D.Lgs. n. 152/2006, come da modifiche apposte dalla legge n. 97/2013, ha finalmente e pienamente adeguato la normativa italiana alla direttiva n. 2004/35/Ce, regolando l’intera materia del risarcimento del danno ambientale e stabilendo:

  • l’applicazione della nuova disciplina anche ai giudizi pendenti e non ancora definiti da sentenza già passata in giudicato;
  • il danno ambientale non può, in nessun caso, essere risarcito per equivalente pecuniario, ma solo con misure riparative;
  • la riparazione può essere primaria, complementare o compensativa e la scelta di una piuttosto che l’altra avviene secondo quanto espressamente stabilito (ossia tutelare la salute e la sicurezza pubblica e a evitare che il costo della misura sia sproporzionato, rispetto ai vantaggi ambientali ricercati);
  • per la legge, inoltre, ciascuno risponde solo per la sua responsabilità personale (art. 311, co.3): occorre, quindi, determinare, prima di tutto, lo stato di conservazione dell’ambiente prima del danno causato, per poi addebitare al responsabile il danno aggiuntivo effettivamente cagionato.

 

Fonti

“Il risarcimento del danno all’ambiente dopo la legge n. 97/2013”, Franco Bonelli, in Ambiente & Sviluppo, rivista mensile, IPSOA, 5/2014.

*Si tratta di un ricorso promosso dinanzi alla Corte di Giustizia Europea e riguarda il presunto inadempimento da parte degli Stati membri di obblighi derivanti dai Trattati, da atti vincolanti, da accordi internazionali stipulati dalla comunità. Può anche riguardare la mancata trasposizione nell’ordinamento nazionale di Direttive nei termini temporali previsti o il mancato adeguamento alle sentenze della Corte di Giustizia.